Andrea selvi

 

Gli spinoni mi accompagnano a caccia e nella vita da più di trenta anni ed è per loro che scriverò queste poche righe.

La passione per i cani è costituita da molteplici aspetti, morfologici e funzionali, tutti ugualmente importanti. Ognuno predilige un particolare settore: il mio punto di vista è quello del cacciatore con lo spinone. E' uno stato mentale in base al quale, con o senza il fucile, il compito del binomio cane - uomo è l'esplorazione del territorio e la ricerca della selvaggina. E per me "cane" significa "spinone".

Sono nato venatoriamente nel Montefeltro dove, fin da bambino, ho avuto il privilegio di cacciare nella Faggiola, riserva istituita nell'800, seconda in Italia dopo quella del re. Zona durissima di alta collina alle falde del monte Carpegna, rotta da calanchi profondi e scoscesi sulla cui sommità si stendono in alternanza fitte macchie, campi e pascoli. Fino a non molto tempo fa ricca di selvaggina, soprattutto starne, le cui brigate erano ovunque, fagiani e numerose lepri; quaglie e beccacce a seconda del passo, ma sempre frequenti.  Adesso, che ancora caccio in Faggiola, godo dello splendido paesaggio del Montefeltro e del lavoro dei miei spinoni che cercano i pochi fagiani e le beccacce sempre più capricciose.

La mia esperienza si è poi estesa in occasione di giornate a coturnici sui Sibillini, quando si poteva cacciare fino al lago di Pilato al cospetto dei 2500 metri della cima del monte Vettore. Tutto questo è ora un vivido ricordo e nella memoria rimane l'immagine dello spinone che caccia con ardimento in un ambiente dove gli inglesi sono di casa.

Nell'arco degli anni '80, quando nell'inverno la Faggiola  si copriva di neve portata dalla bora, ho iniziato ad esplorare e a conoscere ulteriori ambienti: le macchie, i piani e gli ultimi lembi di padule della Maremma, a beccacce, beccaccini, anatre e rallidi, quaglie e fagiani. Questa è stata ed è ancora una avventura condivisa con i miei spinoni, dove realizzo quello che per me è il piacere più profondo della caccia, l'esplorazione solitaria di nuovi territori senza mai accontentarsi di ciò che già è noto. E la Maremma, con le sue infinite macchie ed i suoi piani che si fondono all'orizzonte con il mare oltre la linea dei pini, è la scena ideale.

Infine, spinto dal desiderio di cacciare con i miei spinoni in un ambiente inconsueto selvatici a me sconosciuti come i tetraonidi, ho contratto il mal di Lapponia seguendo - e spesso inseguendo - la coda dei miei cani in guidate vertiginose dietro un cedrone od un vecchio forcello.

Quelli appena tratteggiati sono stati - e sono tuttora - gli scenari dove si sono mossi i cani della mia vita. Ricordo una bracca italiana, Liala, ed uno spinone, Tom, sempre affettuoso ed allegro; non so ben dire le loro doti perché ancora piccolo non mi era concesso accompagnare i miei a caccia. Poi, come per molti in quegli anni, ci fu il passaggio agli inglesi, i setter. Buoni soggetti che cacciavano con l'andatura del continentale perché i terreni aspri e duri e l'abbondanza della selvaggina li costringevano alla moderazione. Cominciai però a desiderare un cane solo per me e, in accordo con i miei fratelli, scelsi la razza: chissà perché decisi per lo spinone, ma di fatto era quello che più mi  affascinava.

Così giunse Tito, il primo spinone, quando nel '78 ebbi 16 anni: roano forte e fisicamente dotato, deciso e volitivo, incline a farsi i fatti suoi; troppo per un ragazzino come me - che pure conoscevo a memoria il libro di Felice Delfino - ed i miei fratelli, alla prima esperienza nell'addestramento di un cane da ferma. L'abbondanza della selvaggina e la voglia di cacciare portarono comunque Tito a diventare un buon ausiliare.

Nel '90 arrivò la Tea, roana, contenuta di taglia e apparentemente fragile, ma di una vitalità esplosiva. Spinona con mezzi nella norma, esaltati però da una acuta intelligenza e da una incontenibile avidità, divenne una redditizia cacciatrice e ottima recuperatrice.

Nel '96 venne la Spina, una figlia della Tea. Eccelsa sui becchi lunghi, beccacce, beccaccini o frullini che fossero: è con lei e da lei che ho appreso qualcosa in queste cacce. Minore esuberanza la dimostrava per l'altra selvaggina, limitandosi a svolgere il proprio lavoro con diligenza ed efficacia.

Nei tempi recenti, all'inizio del 2007, è arrivato Ario, anche lui roano. Grande passione, intelligenza pronta, naturalmente incline alla collaborazione, naso finissimo; presa di terreno ai limiti del consentito ed allo stesso tempo ottimo collegamento ed adattamento al terreno. Da subito mi ha fatto capire la sua passione per il beccaccino. Con lui ho iniziato ad avvicinarmi alle prove, capitolo a me estraneo fino a pochissimo tempo fa ottenendo i giusti riconoscimenti senza alcuna preparazione specifica.

L'agosto del 2008 ha segnato l'arrivo in famiglia di due bianco-arancio, Trudi e Artù, appartenenti alla stessa cucciolata  nella quale riponevo buone speranze.  Trudi, femmina sicura di sé, precocissima, con un carattere forte e determinato, con quella dote dell'intelletto, l'intuizione, che le fa comprendere le situazioni con un attimo di anticipo. Virtù quest'ultima che le ha consentito fulminanti affermazioni nelle più importanti prove. Infine Artù, spinone di taglia che a casa è un bambinone, ma che in attività si trasforma in un cacciatore instancabile. Ha scelto senza esitazione i selvatici preferiti, il germano e l'alzavola, che riesce a trattare e fermare con sorprendente continuità.

Gli spinoni che mi hanno accompagnato nella vita non sono stati molti, ma il rapporto con loro è sempre stato intenso; insieme abbiamo trascorso alcuni dei più appaganti momenti del tempo libero.

Andrea Selvi